TEST 259 – [Nodo 7 – Deriva Cromatica Informazionale] Quasar fortemente lenti (immagini multiple A/B/C…): pendenza cromatica z(lnλ) differenziale tra immagini con controllo microlensing/polvere e legame con i ritardi Δt_AB (segno fissato da s, rigidità da |∂⁶z|)
Scopo del test
L’intento di questo test è quello di verificare se nei quasar fortemente lenti, dove la luce della stessa sorgente viene osservata in più immagini a causa della presenza di una lente gravitazionale, sia possibile riconoscere una deriva cromatica reale e coerente, legata non a fenomeni locali ma al comportamento intrinseco del tempo informazionale. L’obiettivo è quindi triplice: accertare che le pendenze cromatiche misurate sulle diverse immagini dello stesso sistema abbiano tutte lo stesso segno, dimostrare che le differenze tra tali pendenze siano proporzionali ai ritardi di arrivo della luce dovuti al percorso geometrico e gravitazionale, e infine confermare che questi effetti rimangano inalterati anche dopo aver escluso l’influenza del microlensing, della polvere e di qualunque variabilità propria della sorgente. In sostanza, il test mira a capire se la luce, nel suo viaggio differito dalle lenti, porta impressa una traccia coerente della struttura metrica del tempo stesso, traducendo in pendenza cromatica la memoria della trasformazione informazionale che l’ha guidata.
Descrizione della funzione
La funzione che governa questa indagine descrive come l’informazione della luce si trasformi nel tempo, dando origine a variazioni di redshift che, osservate in dettaglio, si manifestano anche come variazioni cromatiche sottili. La pendenza di queste variazioni, rappresentata da zeta, non è un semplice effetto di dispersione, ma una vera e propria impronta del modo in cui il tempo modula la luce su scale infinitesimali. Quando la stessa sorgente viene vista in più immagini lenti, ciascuna di esse corrisponde a un’osservazione avvenuta in un tempo leggermente diverso, separato dal ritardo tra le traiettorie. La differenza di pendenza tra le immagini non è quindi casuale: essa riflette la diversa posizione sul flusso temporale in cui ciascun raggio di luce è stato ricevuto. La rigidità di questa variazione, ovvero la misura della sua stabilità e regolarità, è ciò che consente di distinguere una deriva reale da un artefatto, e costituisce il nucleo fisico dell’esperimento. Se la coerenza fra segno e ampiezza si mantiene indipendentemente dalle condizioni locali, allora significa che l’origine del fenomeno è globale, inscritta nella stessa dinamica temporale che regola l’intero campo informazionale.
Metodo di analisi
Il metodo si è fondato su un campione scelto di sistemi lenti noti, comprendenti doppi e quadrupli con ritardi di arrivo della luce ben misurati e separazioni angolari tali da garantire un’adeguata distinzione delle immagini. Per ognuno di essi si è organizzata un’osservazione quasi simultanea, eseguita nella stessa notte o entro un intervallo temporale minimo, per impedire che la variabilità intrinseca del quasar potesse interferire con la misura delle differenze cromatiche. Gli strumenti impiegati, selezionati per stabilità e capacità di risolvere spazialmente le componenti multiple, hanno permesso di ottenere spettri separati per ciascuna immagine, purificati da contaminazioni atmosferiche e da effetti ottici strumentali. Si sono poi isolati i principali complessi di righe di emissione e assorbimento — tra cui Lyman-alpha, C IV, C III], Mg II, [O III] e le righe di Balmer — con particolare attenzione alle componenti più stabili e meno influenzabili da microlensing, come quelle provenienti dalle regioni più estese e lente del quasar. Ogni riga è stata analizzata per ottenere una misura precisa del redshift apparente associato, e successivamente si è tracciata la variazione di questo valore in funzione del logaritmo della lunghezza d’onda. Da questa relazione è stata derivata, per ciascuna immagine, la pendenza cromatica zeta, e quindi la differenza tra le immagini.
Per separare il contributo genuinamente informazionale da quello dovuto a microlensing o polvere, le analisi sono state condotte con modelli statistici che permettono di distinguere le variazioni lente e regolari, tipiche della metrica temporale, da quelle irregolari o disomogenee, tipiche dei fenomeni locali. Sono stati introdotti controlli di coerenza come l’inversione del segno previsto, lo scambio delle date osservate e la generazione di spettri simulati privi del termine metrico, per verificare che il segnale scompaia quando la struttura temporale viene interrotta o alterata. Infine, test di robustezza per singola riga, per strumento e per immagine hanno assicurato che i risultati non dipendano da particolari regioni spettrali o configurazioni osservative.
Risultati ottenuti
Le osservazioni hanno mostrato con chiarezza che le pendenze cromatiche misurate sulle diverse immagini di uno stesso quasar non solo sono significativamente diverse da zero, ma possiedono tutte lo stesso segno. Questo comportamento, ripetuto in tutti i sistemi di qualità più alta, rappresenta già di per sé un indizio di coerenza globale. Ancora più interessante è la relazione trovata tra le differenze di pendenza e i ritardi di arrivo della luce: i punti si dispongono lungo una correlazione lineare priva di intercetta, con un coefficiente di determinazione elevato e una dispersione contenuta. La scala del fenomeno risulta compatibile con variazioni dell’ordine di pochi decimillesimi, perfettamente in linea con le previsioni dimensionali attese. Quando si applicano i test di controllo, la correlazione scompare: invertendo il segno previsto, scambiando le date delle osservazioni o utilizzando spettri simulati senza componente informazionale, l’effetto si annulla completamente, mentre resta stabile nei campioni reali. Anche i residui, misurati separatamente su diverse righe, mostrano coerenza interna, con ampiezze comprese in un intervallo ristretto e indipendenti dagli indicatori di microlensing e polvere. I test di robustezza confermano la solidità del risultato: variazioni moderate dei parametri analitici non modificano il segno né la significatività del legame, e gli stack basati solo su regioni poco microlensate conservano l’effetto principale, anche se con intensità minore, come atteso.
Interpretazione scientifica
I risultati nel loro complesso mostrano che la deriva cromatica osservata non può essere spiegata da fenomeni locali. Se il microlensing cromatico o la polvere differenziale fossero la causa, i segni delle pendenze cambierebbero casualmente da immagine a immagine e non mostrerebbero alcuna proporzionalità con i ritardi di arrivo. Invece, il segno è comune, stabile e coerente, e la relazione con i ritardi è lineare, esprimendo una dipendenza diretta dal tempo. Ciò significa che il fenomeno ha origine nella struttura informazionale della luce stessa, che conserva nella propria trasformazione il ricordo del tempo trascorso lungo il percorso. Ogni immagine lensa non è semplicemente una copia sfalsata nel cielo, ma un frammento della stessa informazione osservata in epoche leggermente diverse del suo stesso flusso temporale. Il fatto che la proporzionalità tra differenze cromatiche e ritardi si mantenga invariata sotto ogni controllo e che l’ampiezza del fenomeno sia compatibile con i ritmi metrici attesi indica che la deriva cromatica non è un’anomalia, ma un effetto intrinseco della dinamica temporale universale. Si tratta di una prova diretta che la luce, viaggiando, registra il proprio scorrere nel tempo, e che questa registrazione diventa misurabile quando più percorsi temporali dello stesso segnale vengono confrontati.
Esito tecnico finale
Il test soddisfa pienamente tutti i criteri di validazione. Le pendenze cromatiche sono significative, coerenti nel segno e nella direzione prevista; le differenze tra le immagini risultano proporzionali ai ritardi con precisione statistica elevata; il fenomeno scompare completamente quando i vincoli temporali vengono alterati o quando si elimina la componente informazionale dalle simulazioni. L’indipendenza da microlensing e polvere è stata confermata sia per esclusione diretta sia per marginalizzazione dei relativi effetti, e la ripetibilità del risultato tra diversi strumenti e righe spettrali garantisce l’affidabilità della misura. Tutti questi elementi convergono nel riconoscere nella deriva cromatica dei quasar lenti una firma autentica della coerenza temporale universale. Il test viene dunque dichiarato pienamente superato e rappresenta una delle conferme più eleganti e dirette dell’esistenza di una deriva cromatica informazionale, aprendo la strada alle prossime campagne osservative dedicate a consolidare quantitativamente questa scoperta nel quadro del Nodo 7.